IL LABIRINTO NELL'ANTICHITA': MITO E ARCHEOLOGIA
Letizia Lanza
<< In cammino per labirinti e giardini
Se pure il motivo del labirinto, dall’antichità alla contemporaneità, dall’area umanistica a quella scientifica a quella ludica, implica quesiti, applicazioni, interpretazioni tra le più affascinanti, mi limito qui a proporre qualche spunto di riflessione.
Senza dubbio nel nostro immaginario il labirinto per antonomasia – sempre ammesso che sia esistito: tanti testimoni antichi ne parlano, ma nessuno lo ha mai visto – è il palazzo-prigione del re Minosse, costruito da Dedalo per rinchiudere il Minotauro, una volta catturato da Eracle: nato dalla turpe unione tra la regina Pasifae e lo splendido toro candido di Posidone – “un’ibrida forma, un frutto mostruoso”, in cui “s’univan due nature, d’uomo e toro” – era una belva assetata di sangue, responsabile dell’uccisione, ogni 9 anni, di 7 vergini e di altrettanti fanciulli inviati in ostaggio dagli Ateniesi: Teseo si offrì spontaneamente ad essere incluso tra le vittime fuori sorteggio: sbarcato a Creta, ebbe da Arianna, innamoratasi di lui, il famoso filo, imparò come districarsi dagli andirivieni del Labirinto e ammazzò il Minotauro; indi tornò a casa, portando seco la fanciulla e i compagni (Plutarco di Cheronea, Vita di Teseo 15; 17; 19 trad. di C. Carena. Cfr. Euripide, fr. 996; 997 Nauck2).
Con tutto ciò i problemi non mancano (oltre alla dubbia esistenza, e dunque all’ipotetica localizzazione dell’edificio minoico: Cnosso? Gortyna? Skotino?):
1. l’oscurità del nome, sia per l’etimologia sia per il significato: se la terminazione -inthos, che appartiene a una lingua diffusa in Grecia attorno al 2000 a.C., rimanda di solito a un toponimo, l’equazione proposta a fine Ottocento dall’archeologo Maximilian Mayer e accreditata in passato – Labirinto (labyrinthos) = Casa dell’ascia bipenne (labrys) = Palazzo di Cnosso – è ormai confutata da parecchi studiosi tra cui Hermann Kern; d’altro canto, i più affidabili lessici greci rinviano in forma dubitativa sia a labrys sia a layra = “passaggio”, “vicolo”, “corridoio”. Quanto al significato, c’è una testimonianza scritta non letteraria, cioè una tavoletta micenea di terracotta rinvenuta a Cnosso e risalente al 1400 a.C. circa, la cui iscrizione viene interpretata come Un’anfora di miele per tutti gli dèi, / un’anfora di miele per la Signora del Labirinto: la Signora può forse essere Arianna, e il Labirinto una costruzione articolata in una serie di corridoi destinata alle danze – o un tracciato per i danzatori? o uno spazio a essi riservato? – simile forse a un’altra tavoletta di terracotta della grandezza di una mano, non posteriore al 1200 a.C., rinvenuta nel palazzo di Nestore a Pilo, sul cui rovescio è graffito un dedalo, presumibilmente un giuoco: e tuttavia il termine “labirinto” può anche significare semplicemente “danza”, visto che la prima testimonianza letteraria su Cnosso e Dedalo proviene dall’Iliade (18. 590-605) e riguarda proprio una “danza” (per altro definita choros).
2. il problema della configurazione: se di solito per labirinto s’intende un intrico di vani e corridoi da cui, una volta entrati, è pressoché impossibile uscire, in realtà la semplicità e la linearità del dedalo “in senso proprio”, per convenzione definito “cretese”, è assoluta: una forma basilare conosciuta non soltanto in area mediterranea, ma anche in India e in America, articolabile secondo 2 varianti – a 7 oppure a 11 circonvoluzioni di un unico corridoio, formato da 8 o 12 linee concentriche – ambedue esenti da intersezioni o intrichi: a partire dall’ingresso, il percorso, obbligato, conduce al centro, dove termina: per riguadagnare l’uscita basta semplicemente tornare indietro.
3. la domanda allora è: come si arriva, per Creta, da una struttura così semplice e nient’affatto inquietante, alla concezione del maze come Irrgarten, cioè come edificio, o per lo meno come porzione di spazio, intricato e difficilmente percorribile, con un fortissimo rischio e dunque con l’ossessiva angoscia di smarrirsi? A probabile risposta, il sovrapporsi dei 2 concetti risalente, pare, al secolo III a.C. con l’Inno a Delo di Callimaco di Cirene: le danzatrici battono con il piede il saldo terreno. / E proprio allora si carica altresì di corone la sacra statua / di Cipride antica, celebrata, che una volta Teseo / innalzò assieme ai fanciulli, quando navigava di ritorno da Creta: / ed essi, sfuggiti al selvaggio muggito e al feroce figlio / di Pasifae e alla sede tortuosa del labirinto ricurvo, / o signora, intorno al tuo altare al suono della cetra / in cerchio danzarono, e Teseo guidò la danza (versi 306-313 trad. mia). È questa la famosa “danza delle gru” ricordata pure da Luciano a 2. 34 e, prima di lui, descritta da Plutarco: Salpato da Creta, Teseo giunse a Delo, e dopo aver compiuto i sacrifici in onore del dio e collocato la statua di Afrodite che aveva ricevuto da Arianna, celebrò la danza che ancora oggi si dice [...] sia celebrata dai Deli, a imitazione dei meandri del Labirinto e dei movimenti di uscita compiuti secondo un ritmo alternato. Questo tipo di danza, secondo Dicearco, è chiamato dai Deli “della gru”. Egli danzò intorno all’altare detto Cheratone, in quanto interamente composto di corna sinistre (Vita di Teseo 21. 1-2 trad. di M. Bettalli). Un ballo di forte rilievo simbolico e cultuale, il quale ricorre, ad esempio, nel grande cratere a figure nere con anse a volute datato al 570 a.C. circa, capolavoro della ceramografia attica arcaica, denominato Vaso François dall’archeologo Alessandro François, che nel 1845 lo scopre a Chiusi ridotto in frammenti: sul retro, nella fascia superiore c’è lo sbarco di Teseo sull’isola di Delo, dove i giovani ateniesi, insperatamente liberi, danzano al cospetto dell’eroe salvatore, che conduce la danza suonando la lira: di fronte a lui, Arianna: a sinistra s’intravede in arrivo la nave ateniese, per ricondurli in patria.
4. ultimo ma non ultimo, il problema delle interpretazioni simboliche, molte e varie anche per il dedalo “cretese”: una, di rilievo, è suggerita da Maria Rita Albanesi al riguardo della Brocca di Tragliatella, databile intorno al 620 a.C., trovata nel 1878 in una tomba in prossimità dell’antica Cere: di produzione etrusca su modelli protocorinzi, è decorata con disegni graffiti disposti in 4 bande orizzontali: la più larga, distesa sul ventre, sviluppa un labirinto a 7 circonvoluzioni dal quale fuoriescono 2 guerrieri imberbi: entrambi reggono con la mano destra le redini del cavallo, con la sinistra lo scudo su cui spicca una figura ornitomorfa, un’oca o una gru: davanti a loro procede, o forse danza, un uomo nudo, senza barba, con un lungo bastone o una lancia, preceduto da 7 guerrieri imberbi, probabilmente nudi o con perizoma, ciascuno dei quali impugna 3 corte lance e uno scudo rotondo. Non ostante la linearità della pianta raffigurata, secondo la studiosa pure qui prevale l’idea di labirinto come luogo insidioso e impraticabile per chiunque non sia pronto, anche spiritualmente, a fronteggiare il rischio che esso comporta (e a decriptare il mistero che esso racchiude): una rappresentazione simbolica di un percorso di iniziazione, che attraverso le varie circonvoluzioni – probabilmente allusive dei livelli di purificazione interiore via via raggiunti – conduce l’eroe dall’esterno all’interno, dalla periferia al centro, dove appunto il percorso si inverte per riguadagnare l’uscita. Una lettura che vede nel centro l’origine, punto di partenza-ritorno di tutte le cose: ossia a dire, il principio primo, nucleo della realtà sensibile e transeunte, che altresì racchiude in sé il mistero della vita che scaturisce dalla morte: una morte evidentemente iniziatica, passaggio ineludibile quanto arduo per giungere alla patria celeste: non per caso l’Oltretomba è, al tempo stesso, simbolo del viaggio estremo e del ritorno alla Magna Mater, al suo grembo spiraliforme, fonte eterna di fertilità e rigenerazione.