SALA 7
La patera ombelicata di stagno con manico (1) è stata scelta per la mostra “Se gli uomini non trAmano…lo fanno le donne” perché racconta l’ascesa di Eracle all’Olimpo e le sue nozze con Ebe, dea minore legata alla giovinezza. Sottolinea dunque l’importanza del matrimonio nel mondo antico come rituale di passaggio al mondo degli adulti per le giovani donne, a una nuova comunità per lo straniero.
Intorno all’ombelico centrale si sviluppano quattro corone concentriche a rilievo: la più esterna e la più interna presentano una decorazione naturalistica, mentre le due centrali riportano un tema figurato. Nella corona più ampia si distinguono quattro quadrighe con i rispettivi cavalli, nella corona minore è invece rappresentato un banchetto nel quale si riconoscono le figure di Dioniso, Arianna, Apollo e una musa. Sulla base del confronto con due patere d’argento conservate al Metropolitan Museum of Art di New York, in tutto simili alla nostra patera e anch’esse rinvenute molto probabilmente a Spina, il banchetto è stato interpretato come il ricevimento divino per le nozze di Eracle ed Ebe, mentre nella vittoriosa corsa delle quadrighe si riconosce l’introduzione di Eracle all’Olimpo.
Il matrimonio, dunque, è collegato in questa raffigurazione all’ingresso dell’eroe nella comunità divina, come avveniva tra i mortali quando uno straniero di nobili origini si integrava in una nuova realtà cittadina attraverso le nozze con una ragazza del luogo di pari livello sociale. L’esempio più celebre di questa pratica è quello di Demarato, un nobile di Corinto, che, arrivato a Tarquinia, sposò una donna del luogo e dette i natali al primo re di Roma di origini etrusche, Tarquinio Prisco. Era questo l’unico caso in cui non era la sposa a spostarsi dalla casa del padre a quella del marito con il trasferimento ritualizzato sul carro rappresentato in diversi rilievi. Un esempio è quello rinvenuto nel santuario etrusco di Murlo, non distante da Siena (prima metà del VI secolo a. C.).
Divenire moglie, in etrusco puia, rappresentava per le giovani il passaggio all’età adulta. Solo con esso le donne erano in grado di svolgere il ruolo di procreatrici che nel mondo antico era loro attribuito. Per la famiglia, invece, il matrimonio era uno strumento privilegiato di alleanze con altre famiglie e/o comunità, relazioni che potevano essere importanti nella gestione dei traffici commerciali mediterranei, per cui gli Spineti fin dalle origini avevano sempre dimostrato una vocazione. Ed è attraverso questi traffici commerciali che la patera arrivò probabilmente a Spina dall’Italia meridionale, dov’era stata prodotta. Essa si data sulla base del restante corredo della tomba 4 C entro la seconda metà del IV sec. a.C. e fu realizzata con la tecnica della cera persa: un modello di cera veniva ricoperto da terra o gesso, attraverso appositi buchi si faceva poi colare il metallo fuso che andava così a sostituire la cera e, una volta consolidato, la ricopertura veniva tolta. Il risultato era l’oggetto con le sue decorazioni. Come abbiamo visto precedentemente patere in tutto simili potevano essere d’argento, ma anche di ceramica a vernice nera (patere “calene”, ovvero prodotte a Cales, l’odierna Calvi Risorta in provincia di Caserta). Si trattava probabilmente dello stesso tipo di oggetto, evidentemente di moda, in versione più o meno costosa, la nostra di stagno era il prodotto intermedio.
In alto: Corona minore della patera ombelicata
di stagno dalla tomba 4 C, tema figurato
Paola Cossentino
BIBLIOGRAFIA
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