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Le donne e i gioielli

Le donne e i gioielli

SALA 9

Gioielli, ornamenti corporei e oggetti da toletta preziosi sono indicatori della presenza femminile a Spina. Dalle fonti scritte, dalle iconografie presenti nella pittura, nella scultura, nelle decorazioni vascolari sappiamo infatti che erano innanzitutto una prerogativa del mondo femminile.

I gioielli, che sono una parte integrante dell’abbigliamento, assumono importanza nelle forme di comunicazione visiva non verbale e manifestano in prima istanza l’appartenenza a uno status sociale elevato.Non a caso solamente meno del 5% delle tombe scavate a Spina ha restituito gioielli. Erano dunque una prerogativa di pochissime donne. Ai gioielli erano attribuiti anche valori simbolici legati ai momenti di passaggio dell’esistenza di una donna come

il trapasso all’età adulta, il matrimonio, la morte, o valori apotropaici, ovvero in grado di allontanare influenze maligne e malattie. A questo proposito l’ambra e, in particolare, le collane con essa realizzate costituiscono un valido esempio per le virtù terapeutiche e taumaturgiche che le erano riconosciute.

I gioielli e gli oggetti da toletta esposti in questa sala sono tanto più preziosi quanto più vengono da lontano e quanto più sono lavorati da artigiani esperti, capaci di adottare tecniche innovative e di difficile realizzazione. Ci aprono dunque una prospettiva sulla realtà commerciale e tecnologica del tempo, di cui le donne aristocratiche di Spina, che li hanno portati e con i quali sono state seppellite, sono, evidentemente, veicolo. Sono loro che con i gioielli deposti nelle loro tombe ci raccontano ancora una storia di scambi, lusso e bellezza non tanto dissimile da quella che dovevano raccontare ai loro contemporanei che le ammiravano ingioiellate. Se, infatti, il rituale funerario poteva amplificare la cura e la ricchezza dell’abbigliamento allora ne testimonia anche l’importanza nella vita terrena.

 

A sinistra: Lavello. T. 955, ricostruzione della sepoltura
ad inumazione di una donna

A destra: Tarquinia. Tomba dell'orco I, ritratto di Velia


AMBRA

La mitologia greca racconta la nascita dell’ambra (in greco Elektron, da cui prese il nome l’”elettricità” in nome della capacità dell’ambra di attrarre i corpi una volta strofinata) attraverso un mito: Fetonte, figlio del Sole si impossessò un giorno del carro del padre e, non essendo capace di condurlo, diversi furono i disastri da lui compiuti. Bruciò la volta celeste e nel cielo rimase traccia del passaggio di Fetonte nel luccichio della Via Lattea. Zeus fu così costretto ad intervenire e scagliò un fulmine contro di lui precipitandolo alla foce del fiume Eridano, antico nome del Po. Le sorelle di Fetonte, le Eliadi, ne piansero la morte giorno e notte fino a che non furono trasformate in pioppi dalla pietà degli déi. Le lacrime che ancora stillavano dai rami sorti dalla trasformazione divennero resina, ambra. Il mito evidenzia due aspetti veritieri: l’ambra è una resina fossile e l’Alto Adriatico era già dall’età pre-protostorica il luogo di approvvigionamento, lavorazione e smistamento di questo prezioso materiale, frequentato proprio per questo motivo dalle popolazioni del Mediterraneo orientale. L’ambra si trova in grande quantità nelle aree baltiche e il fiume Eridano-Po, lungo il cui corso sorgeva durante l’età del Bronzo finale Frattesina di Fratta Polesine nella provincia di Rovigo e, alla cui foce, più tardi sarebbe sorta Spina tra la fine del VI e il III secolo a. C., era una grande via di comunicazione verso nord e dunque verso le vie di approvvigionamento dell’ambra. Così si spiega la presenza di ambra nelle tombe femminili di Spina e più in generale dell’Alto Adriatico, si pensi ad esempio a Verrucchio, fiorente centro etrusco non lontano da Rimini. L’ambra, una volta arrivata a destinazione, veniva lavorata probabilmente a caldo per migliorare la qualità dei tagli e delle modellazioni che dettero forma agli oggetti qui esposti. Tra questi si distinguono i pendagli di produzione locale finemente lavorati, conformati a testa di ariete e a testa femminile con il tutulus, il tipico copricapo delle donne etrusche .


VASETTI IN VETRO POLICROMO

Come l’ambra anche questi vasetti in vetro policromo provengono da lontano. Erano infatti prodotti nel Vicino Oriente, in particolare a Rodi, e arrivavano a Spina con le navi che trasportavano le ceramiche, il vino e l’olio provenienti dalla Grecia. Essi contenevano unguenti e profumi, che venivano attinti dai piccoli recipienti con asticelle in metallo chiamate spathae, facevano dunque parte degli oggetti utilizzati, in particolare dalle donne, per la cura del corpo. La particolare tecnica di lavorazione prevedeva che un nucleo di sabbia o argilla, che riproduceva la forma da realizzare ed era fissato a un asta, venisse immerso e avvolto nel vetro fuso, costituito da una mescolanza di silicato, calcio e sodio. La decorazione veniva effettuata in un secondo tempo con fili di diversi colori sempre in vetro fuso. Il tutto veniva poi ricotto, i nuclei estratti e ciò che rimaneva erano i vasetti così come li vediamo. Le forme di questi piccoli recipienti riproducevano quelle dei grandi contenitori di ceramica.

 

ORO

La caratteristica principale dell’oro è la sua incorruttibilità. A differenza degli altri metalli esso non subisce processi visibili di deterioramento come l’ossidazione, il che lo rende particolarmente prezioso. Gli Etruschi erano noti in tutto il mondo antico per la loro maestria nella realizzazione di gioielli d’oro e nelle tombe di Spina li troviamo a partire dalla seconda metà del V secolo a. C. fino alla metà del IV a. C., quando la produzione delle oreficerie in Etruria Padana era particolarmente attiva. La tecnica più utilizzata per la realizzazione dei gioielli era quella della fusione a cera persa: un modello di cera veniva ricoperto da un rivestimento di terra o gesso con appositi fori, che, una volta essiccato, permetteva di fare colare via la cera e sostituirla con l’oro. Le decorazioni venivano realizzate con sottilissimi fili, ottenuti da lamine battute e ritagliate (filatura), o con piccole sfere (granulazione), gli uni e le altre venivano poi saldati sulla superficie in modo da creare motivi ornamentali. L’oro poteva anche essere inciso o, nel caso si lavorassero le lamine, decorato a sbalzo. Come i pendagli  d’ambra, anche gli orecchini d’oro potevano essere configurati, come gli orecchini a tubo ricurvo in lamina liscia con terminazione a testa femminile, che è quella utilizzata per modelli su cui vedete esposti gli orecchini stessi, o a testa d’ariete e leone.

 

Paola Cossentino

 

BIBLIOGRAFIA

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CRISTOFANI M., “I complessi tombali: le oreficerie dell’Etruria padana”, in CRISTOFANI M, MARTELLI M. (a cura di), L’oro degli etruschi, Novara, 1983, pp. 303-305

FORTE M., “Note sulla tecnologia dei materiali”, in Il dono delle Eliadi: ambre e oreficerie dei principi etruschi di Verrucchio, Studi e documenti di archeologia 4, Rimini, 1994, pp.55-62

GUAITOLI M. T., “I gioielli fra tradizione letteraria, fonti archeologiche e paralleli etnografici”, in BALDINI LIPPOLIS I., GUAITOLI M. T. (a cura di), Oreficeria antica e medievale: tecniche, produzione, società, Ornamenta I, Bologna, 2009, pp.7-34

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Informazionimostra tutte

Orari:

Orari: da martedì a domenica ore 9.30-17.00 (chiusura biglietteria ore 16.30). Lunedì chiuso


 

Costo biglietto:

Intero € 6,00

Biglietto integrato con Museo Nazionale Etrusco "P. Aria" di Marzabotto € 7

Ridotto € 2,00 (cittadini EU di età compresa tra i 18 e i 25 anni).

Ridotto € 1,00 (ingresso solo giardino)

Gratuità: visitatori di età inferiore a 18 anni; giornalisti con tesserino; studenti delle facoltà di Architettura, Conservazione dei Beni Culturali, Scienze della Formazione o Lettere e Filosofia con indirizzo archeologico o storico-artistico; visitatori con disabilità (con accompagnatore).

 

Servizi al pubblico:

Sala per conferenze e convegni, accessi facilitati.